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MANDOLINO E MELODRAMMA

 

di Fedele Depalma

Il Melodramma e il Mandolino: a molti potrebbe sembrare un accostamento inusuale, forse persino un po’ azzardato: cosa mai potrà esserci in comune tra il glorioso Melodramma, una delle più importanti espressioni dell’intera storia politica, sociale e culturale italiana, e l’umile Mandolino, strumento a lungo vissuto ai margini della cultura accademica italiana? E in effetti, ad una prima lettura, teatro operistico e mandolinismo presentano diversità fin troppo evidenti per genesi, storia, modalità di fruizione, peso politico-culturale. Eppure forse essi non sono così lontani: ad un’analisi più attenta si possono scorgere i sottili fili di un ordito in cui le esplosioni tenorili dei tanti Turiddu, don Josè, Alfredo e Pollione e i tremolii di mandolini e mandole rappresentano i  colori diversi di un unico tessuto. Non è un caso che entrambi siano stati parte essenziale e patrimonio condiviso del formulario civico con cui si è costruita l’identità nazionale e che per tutto il Novecento l’immagine dell’Italiano all’estero si sia alimentata di maccheroni, mammismo, mafiosi, canto lirico e mandolino; ne è una prova eloquente la formulazione ad uso della cinematografia hollywoodiana della famosa “legge delle quattro M” (Mamma, Mafia, Maccheroni e Mandolino) con cui in Usa si indicava di solito il wop, l’italo-americano, e in cui il termine “Mandolino” indicava sinteticamente una generica propensione dell’Italiano alla musica, al canto (soprattutto lirico), ai pizzicati della chitarra e alle plettrate dei mandolini. E come non ricordare a questo punto che con “Italianismes” nella Francia primo-novecentesca si era soliti alludere spregiativamente ai vocalizzi di tenori e soprani, ai tremoli dei mandolini e ad un’orchestrazione troppo enfatica? E allora l’accostamento di mandolinismo e melodramma ottocentesco non è forse così forzato: se entrambi sono divenuti simbolo di italianità, è probabile che tra i due vi siano connessioni nascoste, legami non ancora completamente esplorati.

 

 Per la verità qualche “incontro” superficiale tra Opera in musica e Mandolino si registra sin dal XVIII secolo, quando Paisiello, Cimarosa, Hasse, Martin y Soler, Salieri, Grètry, Piccinni e su tutti Mozart con la più celebre tra le serenate (Deh, vieni alla finestra nel “Don Giovanni”) avevano offerto al mandolino pagine operistiche eleganti e compiaciute. Ma in realtà già nel Secolo dei Lumi tale rapporto sottintendeva connessioni più profonde: il mandolino si stava infatti già imponendo quale strumento di replica domestica delle più amate melodie operistiche del momento. E’ per questo che i tanti manuali didattici di mandolino scritti per il pubblico aristocratico francese (prevalentemente femminile) sul finir del XVIII secolo erano ricchi delle celebri arie operistiche di Blaise, Audinot, Duni, Grètry, Monsigny, Philidor opportunamente ridotte per uno o due mandolini.

 Trascrizioni e variazioni su arie d’opera divennero presto una consuetudine della pratica musicale ottocentesca tout court; si assistette per tutto il XIX secolo ad una imponente deflagrazione di motivi operistici riprodotti in soluzioni imprevedibili e talvolta persino sconcertanti, dal flauto solo all’organo, dai flauti di Pan alle ocarine, dagli organini meccanici al contrabbasso. In confronto a tali ardite sperimentazioni, le trascrizioni operistiche per strumenti a plettro suonavano decisamente più accettabili. L’allargamento della famiglia dei plettri a mandole, mandoloncelli, chitarre e liole permetteva, infatti, di eseguire piuttosto fedelmente le parti originarie di una tradizionale orchestra ad archi. Inoltre la possibilità di tremolare la linea melodica consentiva al mandolino solista di mimare con una certa attendibile approssimazione le sfumature espressive e le travolgenti dinamiche di tenori e soprani. Del resto non è forse casuale che la diffusione di una prassi esecutiva mandolinistica prevalentemente imperniata sul tremolo sia parallela alla diffusione del repertorio operistico nella propria letteratura: non è del tutto improbabile che vi siano state sottili interferenze a tal riguardo e che la sensibilità romantica veicolata dal Melodramma possa aver modificato in profondità l’approccio esecutivo agli strumenti a plettro.

 Quel che è certo è che il melodramma ottocentesco trovò nell’associazionismo mandolinistico uno dei suoi più importanti e fedeli interpreti, per dimensione secondo forse solo all’associazionismo bandistico. Dalla banda il mandolinismo attinse strutture associazionistiche, vocazione professionistica o semi-professionistica e non da ultimo un repertorio collaudato basato su marce, ballabili e soprattutto trascrizioni operistiche. Ma in misura maggiore rispetto alla banda i circoli a plettro divennero un ottimo modello di “armonia sociale” visto che essi erano spesso composti da esponenti di ceti sociali diversi. Fu questo certo uno dei principali motivi per cui la classe dirigente dell’Italia umbertina tanto apprezzò e incentivò l’associazionismo di mandolinisti e chitarristi, alieno da implicazioni politiche e rivendicazioni di classe e ottimo strumento di armonizzazione sociale. Fu la stessa Regina Margherita a favorire le associazioni a plettro, non esitando a farsi rappresentare in pubblico con un mandolino o accettando le numerose intestazioni alla sua persona da parte  dei tanti circoli mandolinistici italiani.

 Il “patrocinio” regale offrì al mandolino una dignità sociale mai avuta prima e contribuì in maniera determinante allo sviluppo di un professionismo mandolinistico. Furono i nuovi “professionisti” a diffondere per cerchi concentrici sempre più vasti una visione delle orchestre a plettro più legata ai canoni delle coeve orchestre sinfoniche, della nascente editoria musicale, di una più razionale organizzazione delle proprie istituzioni. Molti di questi “professori” nascevano come violoncellisti (Giuseppe Bellenghi) o violisti (Giuseppe Branzoli), altri (Carlo Munier, Raffaele Calace, Carlo Graziani-Walter) avevano alle spalle faticosi studi di composizione e armonia presso le più prestigiose istituzioni musicali del tempo; con il peso della loro esperienza e dei loro studi essi arricchirono la letteratura mandolinistica di composizioni originali ma soprattutto di una messe sterminata di trascrizioni e variazioni operistiche prontamente diffuse attraverso riviste e case editrici specializzate. L’Italia tra fine ‘800 e inizio ‘900 era una Nazione costellata da miriadi di circoli a plettro che dalle Alpi a Lampedusa eseguivano le più note pagine operistiche: ogni rappresentazione a teatro di un’Opera lirica si rifrangeva in una miriade di fantasie, trascrizioni e rifacimenti con strumenti a plettro.

 Il programma qui proposto vuole essere pertanto un omaggio a tale tradizione, nella convinzione che il Mandolino attraverso le trascrizioni operistiche abbia contribuito a rendere popolare il Melodramma: anche in tali trascrizioni si spiega la fortuna del Melodramma di Bellini, Donizetti  e Verdi (che significativamente era membro onorario del circolo mandolinista milanese). Furono questi i compositori più amati e trascritti ed emblematicamente a loro è stato riservato ampio spazio.

 

Il primo brano è una fantasia dalla Norma, l’opera generalmente considerata il capolavoro di Bellini (1801-1835) e una delle tappe più importanti nella storia dell’opera in virtù della purezza delle sue linee melodiche e della sua espressività ora lirica ora tragica. Nonostante la sua prima rappresentazione al Teatro alla Scala di Milano il 26 dicembre 1831 nel giorno di s. Stefano fosse stata un fiasco, essa divenne presto una delle opere più eseguite in tutto il mondo. Qui si propone una riduzione della sinfonia iniziale ad opera del mandolinista fiorentino Enrico Marucelli (1873-1901)

 Sempre di Marucelli è anche la fantasia su temi de La Traviata;  terza e ultima opera della “trilogia popolare” di Giuseppe Verdi (1813-1901) La Traviata è forse la più ricca di interiorità psicologica di tutto il teatro romantico: il grande compositore bussetano riuscì infatti a rendere in musica con grande maestria le più ombrose sfumature psicologiche di personaggi complessi e delicati. Essa fu rappresentata per la prima volta al Teatro La Fenice a Venezia il 6 marzo 1854 e anche in virtù del suo delicatissimo preludio introduttivo e di una musicalità vibrante e appassionata è ancor oggi una delle opere più presenti nei programmi dei teatri di tutto il mondo ed eseguita in infinite trascrizioni strumentali.

 Successo strepitoso ebbe anche il Don Pasquale (prima rappresentazione a Parigi, Théâtre Italien, 3 gennaio 1843), opera buffa in tre atti di Gaetano Donizetti (1797-1848) su libretto firmato da Michele Accursi (ma in realtà da Giovanni Ruffini, 1807-1881). E’ certamente l’opera più famosa del compositore bergamasco e, insieme a L’Elisir d’amore e Il Barbiere di Siviglia, fa parte della terna dei capolavori comici ottocenteschi. Tra le numerose trascrizioni per strumenti a plettro si è scelta la fantasia di Ferdinando Francia, animatore della vita mandolinistica milanese e padre di Leopoldo, uno dei più grandi virtuosi di mandolino di fine ‘800

 Per il pubblico parigino fu scritto nel 1835 anche I Puritani, melodramma serio in tre parti di Vincenzo Bellini, su libretto del conte Carlo Pepoli (1796-1881). Ultima opera del catanese e certamente quella a cui dedicò maggiore tempo e attenzione, I Puritani ebbero un’accoglienza che è divenuta ormai leggendaria: alla prima il pubblico in teatro si commosse fino alle lacrime e all’udir l’aria “Suoni la tromba intrepido” si ebbe un’esplosione di fanatismo patriottico con donne che sventolavano i fazzoletti e uomini che agitavano i cappelli in aria. Eppure, forse anche per la difficoltà della parte del tenore, I Puritani non furono rappresentati con grande frequenza nei teatri, mentre numerosissime furono le trascrizioni per bande e orchestre a plettro. Tra le migliori riduzioni vi è quella proposta qui ad opera di Mario Maciocchi (1874-1955), mandolinista romano che, dopo aver diretto ben due orchestre a plettro a Parigi in occasione dell’Esposizione Universale del 1900, decise di trasferirsi in Francia divenendone in breve uno dei principali protagonisti della vita mandolinistica di primo-novecento.

La Carmen, dramma lirico in 4 atti di Georges Bizet (1838-1875) su libretto di Henri Meilhac (1831-1897) e Ludovic Halévy (1834-1908), tratto dalla novella omonima di Prosper Mérimée (1845) fu rappresentata per la prima volta a Parigi, all’Opéra-Comique il 3 marzo 1875, ma senza alcun successo; anzi la critica parigina inveì contro i suoi artefici accusandola di immoralità e depravazione. Eppure, in pochi anni la Carmen divenne conosciuta in tutta il mondo,  tradotta in numerose lingue e riproposta in infinite trascrizioni strumentali. Vincenzo Billi, l’autore della riduzione qui proposta, non fu un mandolinista ma un compositore e direttore d’orchestra (1869-1938) con alle spalle un’intensa attività concertistica in Francia, Olanda, Spagna, Inghilterra. Eppure dedicò agli organici a plettro un’attenzione costante, testimoniata dalle sue numerose trascrizioni operistiche per mandolini che arricchivano i cataloghi delle Edizioni Maurri.

Un omaggio al grande mandolinista catanese Giovanni Gioviale è infine la fantasia sulla Lucia di Lammermoor per mandolino solo, il melodramma più famoso di Donizetti, rappresentato per la prima volta al s. Carlo di Napoli il 26 settembre 1835 e di cui il mandolinista siciliano ci ha lasciato una celebre trascrizione e un’ancor più celebre esecuzione risalente al 1929.

 

 Mandolino e melodramma sono quindi realtà meno lontani di quanto non ci si aspetti. Quando ai primi del ‘900 il critico francese Henry Gauthier-Villars (Willy) scriveva della “Cavalleria Rusticana” “Saremmo indulgenti verso l’Intermezzo di Cavalleria se avesse la compiacenza di ritornare al ventre cavo dei mandolini da cui è uscito per invadere l’orchestra dell’Opéra-Comique, senza avere la ridicola pretesa di aspirare alla pagina sinfonica” coglieva in fondo una parte di verità: il melodramma e il mandolinismo erano realtà strettamente collegate, partecipi di una vita segreta comune.

-         Vincenzo Bellini (1801-1835), Norma, sinfonia ridotta da Enrico Marucelli

-         Giuseppe Verdi (1813-1901), La Traviata, fantasia di Enrico Marucelli

-         Gaetano Donizetti (1797-1848), Don Pasquale, fantasia di Ferdinando Francia

-         Vincenzo Bellini, I Puritani, Grande Fantasia di Mario Maciocchi

-         Georges Bizet (1838-1875), Carmen, fantasia di Vincenzo Billi

-         Gaetano Donizetti, Lucia di Lammermoor, fantasia per mandolino solo di Giovanni Gioviale